Prima del 79  C., il territorio dell'attuale città di Portici fu parte integrante dell'agro dell'antica Ercolano.

Questo sino alla tremenda eruzione pliniana del Vesuvio, che distrusse Ercolano, Pompei, Oplonti e Stabia. Dopo fu annesso alla vicina Neapolis. Città alle cui sorti è rimasta legata sino ai giorni nostri.

Della presenza romana sul territorio porticese c'era sinora solo la testimonianza dei diari di scavo borbonici, che registravano alcuni importanti ritrovamenti archeologici avvenuti in quest'area e che, in parte, confermavano quanto affermato dal geografo di età augustea Strabone. Ovvero che, ai suoi tempi, la costa del Golfo di Napoli, da Miseno a Sorrento, aveva l'aspetto di una sola grande città, tanto era l'addensarsi di ville marittime lungo il litorale. Infine, l'alto livello di queste costruzioni è testimoniato dal ritrovamento di statue, pavimenti, pitture, stucchi e mosaici, tutti databili a partire dall'età augustea.

 

La villa della Riccia

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All'epoca del Weber, poco prima della sua morte, cominciò lo scavo di un'altra villa romana sepolta dall'eruzione vesuviana del 79 d. C., nei terreni a lato della villa del Principe della Riccia, Bartolomeo di Capua. Splendido edificio, ora demolito di cui resta solo l'esedra con la cappella che fronteggiava la villa. Di questo scavo si sa pochissimo, in quanto gran parte dei documenti sono andati perduti nel tempo. Ciò che resta, negli archivi, è solo una breve nota di F. La Vega, allora giovanissimo, databile al momento in cui assunse l'incarico di dirigere i lavori di scavo, al fianco dell'Alcubierre. Nella nota, datata 28 Febbraio 1764, il La Vega dice solo di aver visionato due piante dello scavo effettuato vicino al Palazzo della Riccia, realizzate da M. Antonio. Di queste piante si è persa, purtroppo, ogni traccia.

Per saperne qualcosa in più su questa villa, bisogna leggere una lettera, scritta il 14 Aprile 1955 dal proprietario della villa, il dott. Guido Ciociola, al professor Vincenzo Catalano, nella quale è riportato il resoconto di una breve esplorazione in uno dei cunicoli borbonici ancora accessibili.


Nella lettera, Guido Ciociola, racconta che dalla cantina di uno degli edifici di Via Paladino si accedeva ad uno stretto passaggio che si snodava per circa 50 metri nel sottosuolo, per poi immettersi in un'ampia sala sotterranea dove si trovavano un bellissimo tavolo rotondo a tre piedi e delle statue di marmo dell'altezza di due metri. Questo era quanto gli aveva raccontato Giuseppe Ascione, un suo anziano colono, che più volte era disceso nel cunicolo sotterraneo, nel tentativo di riportare in superficie questi straordinari reperti per venderli. Notizia confermata, sembra, dal fatto che anche un addetto del Museo archeologico di Napoli, avesse esplorato l'antico cunicolo, al quale aveva poi apposto dei sigilli.


In seguito, dopo la morte del colono, anche il dott. Ciociola, accompagnato dal sig. Orlando Galli, profondo studioso di archeologia, effettuò un sopralluogo del cunicolo. Dopo circa 50 metri, ad una profondità di circa una quindicina di metri sotto il livello stradale, il cunicolo si fermava sull'orlo di un pozzo del diametro di circa due metri e mezzo. La loro esplorazione si fermò in quel punto, in quanto il pozzo era stato usato dai proprietari dei palazzi vicini come pozzo assorbente, ragione questa per cui era ricoperto di melma. Subito dopo, nel puntare i piedi sul pavimento, per recuperare una scala calata nel pozzo, il Ciociola ed il Galli si resero conto che sotto doveva esserci un ambiente vuoto e che le pareti erano ricoperte di uno strato di cenere vulcanica. Raschiatolo, venne fuori il rosso tipico degli affreschi pompeiani con decorazioni, sembra, del terzo stile.

 

La Villa e le Terme dell'Epitaffio

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La Villa e le Terme dell'Epitaffio furono sondate per cunicoli nel 1752. È chiamata così perché fu rinvenuta nella zona antistante il famoso epitaffio, dettato nel 1635 dal Viceré spagnolo don Manuele de Zunica, conte di Monterey, e posto sulla via Regia per le Calabrie, all'angolo di via Gianturco.
In questa zona, in quegli anni, erano in costruzione alcuni palazzi e ville, mentre si stava aprendo la via Cannito, l'attuale via Naldi. Lo scavo della Villa e delle Terme, interessarono l'area davanti l'Epitaffio e, per lungo tratto, il podere della famiglia Guglielmini, iniziò il 15 Dicembre 1752 e terminò il 7 Luglio 1754.
I lavori furono diretti dall'ingegnere svizzero Carlo Weber che, nei suoi diari di scavo, annotava che i cunicoli sotterranei si spinsero fin quasi al palazzo di Domenico Viola, allora in corso di costruzione, con l'annesso ponte Viola. Fu appunto l'estensione degli scavi e l'esistenza di "vacanti antichi" che costrinsero il Weber a rinunciare alla prosecuzione dei lavori. Era preoccupato che questi ultimi potessero costituire un pretesto per richieste di risarcimento in caso di cedimenti delle fondamenta dell'edificio.
Il frutto più pregevole dello scavo furono i riquadri di stucco, figurati con centauri e figure femminili, provenienti da un ambiente a volta con destinazione termale, attualmente conservati al Museo Archeologico di Napoli. A lato di questa stanza, furono poi sondati altri ambienti coperti a volta, dove furono rinvenuti frammenti di tubazioni di piombo, pavimenti a mosaico, marmi pregiati e frammenti di colonne in marmo policromo. Ritrovamenti questi che lasciano supporre si trattasse di un'importante villa marittima con terme private, appartenente quasi di sicuro ad un ricco patrizio.

 

La Villa dei Gesuiti

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Sotto il convento dei Gesuiti, lungo il Corso Garibaldi, fu individuata ed esplorata, attraverso una rete di cunicoli sotterranei, un'altra grande villa romana. I primi ritrovamenti che richiamarono l'attenzione di F. La Vega, chiamato nel 1764 a sostituire lo svizzero Weber nella direzione degli scavi, avvennero in modo fortuito e casuale, con molta probabilità, intorno alla prima metà del '700. Questi ritrovamenti indussero il La Vega ad iniziare i lavori di questa importante villa romana.
Ai cunicoli si accedeva dal pozzo del Convento e da una rampa davanti alla portineria, come si ricava da una relazione del 15 Settembre 1764. Si trattò di uno scavo importante e notevole, come si desume da gran parte della documentazione dei ritrovamenti borbonici, giunta in nostro possesso.

Il 12 Ottobre 1764 si rinvenne un vaso di piombo di cinque palmi di diametro; il 19 Ottobre si trovarono due piedi di un braciere di bronzo, terminanti a zampa di grifo con busti di donne nude; il 27 si rinvenne una fistula (tubo) di piombo con il bollo M. Claudi A (uli) l (iberti), indicante il nome del proprietario della villa. Il 1° Novembre si scavarono altri tre cunicoli e si trovarono altri 19 pezzi di tubi di piombo, un vaso di terracotta che conteneva certa pasta ed un chiodo di ferro.

Il 3 Novembre si trovò una colonna di mattoni. Il nove fu recuperato un frontizio di metallo ed il 16 due piccoli pezzi di piombo ed un frammento di ferro. Il 23 Novembre si rinvenne una tegola col bollo M. AC. AMP. F. , databile ad età Flavia. L'8 Dicembre furono recuperati un candelabro di bronzo, un mortaio, un frammento di vaso in terracotta con pece ed altri elementi metallici. Il 15 due cardini di porte, quattro frammenti di marmo bianco e mezzo cofano di tessere di mosaico.

Il 22 Dicembre si trovò quella che il La Vega definisce, nei suoi appunti, "una scala magnifica". Infine, alla fine del mese di Febbraio, lo scavo fu sospeso, non dopo, però, che fossero ritrovati molti altri frammenti di mosaici, un pavimento di lastre di marmo palombino e nero e numerosi pezzi di tubo di piombo.

 

La Villa delle scuderie Reali

Il 15 Luglio 1755, durante lo scavo delle fondazioni di una nuova ala delle Scuderie Reali, quella del lato sud, annessa al Palazzo Mascabruno, fu rinvenuta una parete dipinta. Ciò diede inizio ai lavori di scavo, diretti dall'Alcubierre, di quella che fu poi chiamata la "Villa delle scuderie reali".
Nel corso dei lavori, il 20 Luglio furono tagliate sette pitture, la prima con quattro uccelli, la seconda con due figurine, la terza con un vaso, la quarta e la quinta con un albero e due uccelli, la sesta con una donna vestita ed una statua di divinità su di un piedistallo e la settima con un'architettura. Altri due affreschi furono recuperati, invece, il 27 dello stesso mese.

Il 7 Dicembre, l'Alcubierre notava che l'edificio non conteneva arredi, come se fosse stato disabitato. Per questa ragione pensava di abbandonare lo scavo, che, tra l'altro, metteva in pericolo la stabilità delle scuderie reali. Nel mentre valutava l'ipotesi di fermare definitivamente i lavori, fu notata una serie di soglie, allineate lungo un colonnato munito di canaletta di piperno e decorate a mosaico. Questa scoperta spinse l'Alcubierre alla prosecuzione degli scavi che portarono, poi, al ritrovamento, il 4 Settembre 1756, di un "gran porton" e, una decina di giorni dopo, di un pavimento di astrigo.
Nei lavori di scavo della Villa delle Scuderie Reali furono rinvenuti moltissimi pavimenti a mosaico, un gran numero di affreschi di pregevole fattura ed un frammento di vaso di marmo. Tutti i mosaici furono staccati e trasportati al museo di Portici.
Il 2 Ottobre 1756 i lavori di scavo furono interrotti, per essere poi ripresi nel 1764 dal La Vega, che fu, però, subito costretto a sospenderli, per non accostarsi troppo alle Scuderie Reali.

 

La villa degli "omissis"

Un quinto edificio, probabilmente una villa, fu individuato dall'architetto F. La Vega nelle cantine della villa del potente Principe Calvaruso al Largo Arso, al confine con il comune di San Giorgio a Cremano. Gli appunti di La Vega parlano dell'esistenza di muri antichi che lasciavano supporre la presenza di un edificio di epoca romana. Purtroppo, sembra che il principe avesse già scavato qualcosa, trovando delle statue, ma che avesse poi deciso di ricoprire il tutto, statue comprese, per non avere il disturbo che si cominciasse a scavare nella sua proprietà. Per rafforzare questa sua decisione, quando cominciò a diffondersi la notizia di questi ritrovamenti, chiese al re di non far scavare nella sua proprietà e la sua richiesta fu esaudita.