La ripresa dell'occupazione del territorio vesuviano, dopo l'eruzione del 79 d.C., non fu certo immediata. I primi segni di un ritorno risalgono alla prima metà del II° Secolo, quando viene risistemata la strada che da Napoli conduceva a Nocera ed a Stabiae. Di sicuro il territorio di Portici, che prima della terribile eruzione del Vesuvio era parte integrante dell'agro ercolanese, dopo l'evento che distrusse la fiorente città vesuviana, fu annesso al territorio della vicina Neapolis.
 
Comunque, una consistente occupazione del territorio, qui come in tutto il territorio vesuviano, risale ad un periodo compreso tra il III° ed il V° secolo. È quanto testimonia il ritrovamento di alcune necropoli con sepolture a tegole ed entro grandi anfore cilindriche africane, tagliate appositamente per contenere le salme dei defunti.
 
Dopo l'unità d'Italia, nel 1879, una necropoli, databile tra il III° ed il V° Secolo, fu rinvenuta nella vecchia cava del Granatello. Non era la prima volta. Nel Settecento, già si accennava al ritrovamento di alcuni edifici e tombe sotto la lava del Granatello, tra Santa Maria di Pugliano ed il mare. La tomba fu scoperta, casualmente, in seguito ad una caduta di massi nel fronte della cava degli scogli del Granatello, verso l'adiacente strada provinciale. Fu rinvenuta, così, una piccola tomba nella quale era contenuto uno scheletro umano ed una pignatta con dentro delle carbonelle ed un chiodo. Continuando a scavare, ad un metro e quaranta di profondità, appariva poi anche un pezzo di argilla. Si trattava di un'altra anfora acuminata nella parte inferiore, con un piccolo manico a ciascun lato dell'orifizio, lunga un metro e sedici centimetri e del diametro di quasi un metro. Dentro c'era un piccolo scheletro, forse di un fanciullo dell'età di appena cinque anni. Per introdurvi il corpo, l'anfora era stata tagliata ad un'altezza di 28 cm., ma i due pezzi non combaciavano e risultavano essere di colori diversi, inoltre, per tappare i buchi e non far entrare la terra, erano stati inseriti alcuni pezzi di mattone.
 
Verso oriente, ad oltre tre metri di distanza dalla tomba del fanciullo, fu trovata, in seguito, un'altra tomba di tegole d'argilla in pessimo stato di conservazione. In questa tomba fu poi rinvenuta un'urnetta di creta rustica, tutta frantumata, con dentro alcuni pezzi di ossa ed un chiodo di ferro arrugginito. L'ultima tomba di tegoloni, invece, fu trovata poco dopo. Addossata al muro c'era un'anfora a punta ed aveva un frontale di marmo con un'iscrizione latina.
 
A quattro metri di profondità dal suolo di una cantina, fu rinvenuta alla Croce del Trio una tomba con l'iscrizione funeraria posta ad una "Caerinia restituta da T. Flavius Domitus".
La tomba era formata da muriccioli laterali ricoperti superiormente da tegole. Nella bocca della defunta fu rinvenuta una moneta di bronzo di Faustina Minore col tipo della Concordia Augusta e, vicino alla testa, varie ampolle di vetro, una sola delle quali si era conservata intatta.
 
Nell'Ottobre del 1954, nella proprietà De Maio, durante la costruzione di un fabbricato lungo Via Paladino, a circa 87 metri dal Corso Garibaldi, fu trovato dal professor Catalano un altro sepolcreto tardo - antico. Si trattava di due sepolture, consistenti in anfore caricate orizzontalmente, parallelamente e a breve distanza l'una dall'altra, che contenevano due scheletri umani, quello di un adulto e quello di un adolescente.
La forma delle anfore rinvenute appare riferibile, per le due quasi integre, ai contenitori cilindrici tardo africani, tipo Keay XXXI e XXXII in argilla rosso viva, e, per l'ultima, della quale è conservata solo la parte superiore, dalle anse innestate ad orecchia fino alla bocca, ad un tipo particolare di Tripolitana II.